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BCE: LA RIPRESA SARÀ PIÙ LENTA DI QUANTO PREVISTO

“L’economia dell’area dell’euro ha ristagnato alla fine del 2023 a fronte di condizioni di finanziamento tese, della debolezza del clima di fiducia e delle perdite di competitività subite in passato. Le informazioni più recenti indicano per il breve periodo una ripresa più lenta di quanto prospettato nelle proiezioni di dicembre 2023”. È quanto emerge dallo studio pubblicato nelle scorse settimane dalla Banca Centrale Europea – BCE con il titolo “Proiezioni macroeconomiche per l’area dell’euro”.

L’attività economica dovrebbe tuttavia accelerare gradualmente nel corso di quest’anno con l’aumento del reddito disponibile reale, in presenza di un calo dell’inflazione e di una robusta dinamica salariale, e con il miglioramento delle ragioni di scambio. In un contesto in cui è improbabile che le attuali turbative del trasporto marittimo nel Mar Rosso provochino nuove limitazioni significative nell’offerta, la dinamica delle esportazioni dovrebbe allinearsi al rafforzamento della domanda esterna.

A medio termine la ripresa sarebbe altresì sorretta dal graduale venir meno dell’impatto esercitato dall’inasprimento della politica monetaria della BCE. Si prevede complessivamente che il tasso di incremento medio annuo del PIL in termini reali si collochi allo 0,6% nel 2024, per poi salire all’1,5% nel 2025 e all’1,6% nel 2026. Nel confronto con le proiezioni dello scorso dicembre le prospettive per la crescita del PIL sono state riviste verso il basso per il 2024, a causa di effetti di trascinamento derivanti da dati peggiori del previsto pubblicati in passato e di informazioni prospettiche recenti che indicano un’evoluzione più debole, risultano invariate per il 2025 e sono state oggetto di una lieve correzione verso l’alto per il 2026.

L’inflazione dovrebbe moderarsi ulteriormente grazie alla perdurante attenuazione delle spinte inflazionistiche e all’impatto dell’inasprimento della politica monetaria, anche se il ritmo di diminuzione sarebbe più modesto di quello osservato nel 2023. Le pressioni inflazionistiche continuerebbero ad attenuarsi in un contesto in cui ci si attende che le turbative nei trasporti marittimi nel Mar Rosso esercitino un impatto al rialzo solo limitato. Con il calo dei prezzi dell’energia, la robusta dinamica del costo del lavoro dovrebbe costituire la determinante principale dell’inflazione misurata sull’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IAPC) al netto della componente energetica e alimentare.

La crescita dei salari nominali rimarrebbe elevata, come conseguenza del perdurare di condizioni tese nel mercato del lavoro, ma dovrebbe gradualmente ridursi nell’orizzonte temporale considerato al venir meno degli effetti verso l’alto esercitati dalla compensazione per l’aumento dell’inflazione. Un’accelerazione della produttività sorreggerebbe la moderazione delle pressioni dal lato del costo del lavoro. I profitti dovrebbero rallentare nel periodo in esame e attenuare la trasmissione del costo del lavoro.

Nell’insieme ci si attende che l’inflazione complessiva misurata sullo IAPC scenda in media d’anno dal 5,4% nel 2023 al 2,3% nel 2024, al 2,0% nel 2025 e all’1,9% nel 2026 e che, date le deboli prospettive riguardanti la componente dei beni energetici, si mantenga inferiore al tasso calcolato al netto dell’energia e dei beni alimentari per l’intero orizzonte temporale di riferimento.

Da un confronto con l’esercizio previsivo di dicembre emerge che l’inflazione misurata sullo IAPC è stata corretta verso il basso per il 2024 e il 2025, principalmente a causa degli effetti diretti e indiretti di ipotesi di un calo dei prezzi delle materie prime energetiche e di minori pressioni dal lato del costo del lavoro, mentre è invariata per il 2026.